Duro scontro tra il leader ungherese e la Presidente della Commissione europea.

Ventiquattrore prima del suo intervento davanti a tutto l’europarlamento, Viktor Orbán ha tenuto una conferenza stampa nella sala del Parlamento europeo; qui il premier ungherese ha chiarito l’indirizzo politico che intende imprimere durante la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea che spetta all’Ungheria (per un semestre, è cominciata a luglio). Tre temi i temi principali discussi: funzionamento della macchina europea, guerra in Ucraina, immigrazione.

Andando in ordine: Orbán condivide le preoccupazioni provenienti da diversi settori della politica europea per cui se l’Europa non ripensa il suo assetto normativo\burocratico non sarà in grado di reggere la concorrenza con Cina e USA. Ha quindi ragione Mario Draghi dove nel suo rapporto sulla competitività invita i leader europei a rafforzare il mercato europeo. Bisognerebbe chiedersi se il premier magiaro sia credibile nelle vesti di difensore del mercato unico quando l’Ungheria ha subito numerose procedure d’infrazione da parte della Commissione europea per concorrenza sleale di mercato, tassando di più le aziende europee rispetto a quelle ungheresi. Sulla questione Ucraina il premier non usa mezzi termini, ricordandoci, casomai ce ne fossimo dimenticati, come mai l’Ungheria ponga veto nei pacchetti finanziari di aiuti verso l’Ucraina: “non è possibile vincere questa guerra sul campo di battaglia (…) una maggioranza dei Paesi in giro per il mondo vuole la pace”. Si comprende di più (sempre se ce ne fosse stato bisogno) il senso del viaggio in Russia di Orbán quest’estate. Infine, il tema immigrazione: bisogna regolarla attraverso Hotspot esterni ai confini europei. Una proposta decisamente fantasiosa, per non dire impraticabile.

Una conferenza che ha fatto discutere e non poco alla vigilia del suo intervento davanti il Parlamento europeo e la presidente della Commissione. Il messaggio è inequivocabile e non lascia spazio di interpretazioni: è un chiaro attacco alla politica di Ursula von der Leyen, colpevole di rappresentare, incoraggiare, proteggere, “un’élite unica di centrodestra e centrosinistra” non interessata a comprendere i mutamenti sociali dell’Europa ma che preferisce tutelare interessi personali. Questo perché secondo il premier ungherese il “vero” sentimento popolare europeo è interpretato e rappresentato dal gruppo parlamentare ECR (il gruppo dei conservatori e riformisti europei). Insomma, Orbán si appella a una retorica antieuropeista per riformare l’Europa, non citando però i quattro miliardi di euro annui che l’Ungheria percepisce dal 2004 dall’Europa in forma di sussidi o fondi.

Davanti al parlamento europeo la presidente della Commissione non si è contenuta nelle sue repliche, mettendo in chiaro tutte le “ambiguità” della politica ungherese: sul tradimento ucraino fatto di veti e viaggi per incontrare Vladimir Putin: “c’è ancora qualcuno che attribuisce la colpa di questa guerra non all’invasore ma all’invaso” puntualizza Von der Leyen. Non mancano poi critiche alla politica ungherese verso il mercato unico: più volte l’Ungheria ha cercato modi alternativi per acquistare combustibili fossili dalla Russia, evitando di fatto i divieti imposti dall’UE. E poi c’è il tema dell’immigrazione: Se la premura di Orbán fosse la difesa dei confini ungheresi verrebbe da chiedersi come mai il governo ungherese invita cittadini russi nell’UE senza ulteriori controlli di sicurezza e come mai venga permesso alla polizia cinese di operare sul territorio ungherese: “Questo non è difendere la sovranità dell’Europa, è una porta sul retro per l’interferenza straniera”. La difesa di Orbán, tanto prevedibile quanto sterile, è stata di accusare la presidente della Commissione di fare gli interessi della sinistra europea.

A memoria è difficile ricordare uno scontro così acceso tra un presidente della Commissione europea e un capo di governo dei 27. Tuttavia, i pericoli di derive sovraniste in Europa rimangono: un buon proposito per il nuovo mandato di von der Leyen dovrà essere quello di arginare queste narrazioni che alla lunga hanno indebolito l’UE: Bruxelles non può più girarsi dall’altra parte e far finta di non vedere.

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